10 Agosto - 23 km. - 14
chiuse.
Una volta svegli ed appena finito di fare
i bagagli, ci accodiamo ad una imbarcazione
per riuscire ad entrare nella serie infinita
di chiuse che ci aspetta in questa giornata.
Riusciamo a passare le prime due, quando,
alla terza, un buzzurrone in pantaloncini
e maglietta di peletti ricci ci “intima”,
ad alta voce, di non passare piu’
per le chiuse perche’ pericoloso.
Pericoloso?! Dopo essere passati indenni
attraversando e trasbordando qualcosa
come quasi quaranta chiuse, dove il pericolo
maggiore e’ consistito nell’evitare
di cadere dentro alle stesse mentre si
camminava sul bordo con due occhi rivolti
verso alcune carine eclusieres, mi si
viene a dire che e’ pericoloso entrare
in una chiusa con un kayak di cinque metri
e passa che piu’ stabile di cosi’
puo’ esserlo solo una canoa polinesiana
con bilanciere?
Chiediamo gentilmente spiegazioni, senza
scomporci piu’ di tanto, e particolari
sul tipo di pericolosita’ ricevendo
una breve e telegrafica risposta: “e’
regolamento”.
Allora non si discute. Quando chi deve
fare osservare un regolamento e’
cosi’ gnocco da non voler cercare
gentilmente di spiegare le cose, non c’e’
niente da fare.
Siamo passati in alcune chiuse dove addirittura
l’eclusier segnalava al collega
piu’ avanti di fare passare la canoa
italiana, come definita in codice “la
canoe italienne”.
Cosi’ ci troviamo obbligati a trasbordare
le prossime chiuse. Percorriamo addirittura
a piedi, con kayak sul carrello, la piu’
corta distanza fra due chiuse, circa cinquecento
metri, per evitare la fatica di rimettere
in acqua il kayak per pochi minuti.
Ora il canale cambia aspetto e ci presenta
la riva di destra notevolmente sopraelevata
di almeno cinque metri. Oltre la fila
di alberi scorre la strada e notiamo ad
un certo punto un baretto a lato strada
ricordandoci immediatamente di avere fatto
colazione solo con una barretta energetica.
Ci fiondiamo sull’altra riva per
rimpinzarci finalmente con due baguette
farcite e due belle lattine di birra da
mezzo litro.
Era dall’inizio del viaggio che
pregustavo di fermarmi in un posticino
del genere (niente di speciale, un bancone
con parecchi panini, bibite, birre ed
alcune rustiche panche poste sotto due
ombrelloni) lungo il canale per mangiare
la classica baguette ripiena croccante
e lunghissima.
Finalmente si pranza con baguette farcite
Oltretutto il baretto e’ gestito
da quattro ragazze bellocce! e dal loro
capo, una persona equivoca con catena
al collo ed orecchino (tanto che mi
sembra una attivita’ diurna di
copertura per altra mercanzia, peraltro
ben esposta!).
A proposito, per chiudere il discorso
precedente, il tipo che ci ha intimato
di trasbordare alle chiuse ci ha seguito
a piedi per due chiuse per verificare
se effettivamente obbedivamo ai suoi
ordini. Pazzesco! E chi controlla intanto
gli altri mille canoisti che, approfittando
di cio’, passano attraverso le
altre decine di chiuse che il nostro
irrequieto controllore non puo’
controllare? Anche in Francia, anche
in vacanza, si possono incontrare i
burocrati piu’ biechi e rognosi.
La chiusa di Castelnaudary (la quadrupla
di Saint Roch) e’ la piu’
alta del canale, dopo quelle di Foncerannes,
con i suoi 9,42 metri di dislivello
per raggiungere il grosso bacino della
citta’ che ne costituisce la riserva
idrica.
Il bacino di Castelnaudary
L’abitato non si sviluppa sul
bacino, che ha soltanto servizi portuali,
ma su un leggero rilievo dove si vede
la cattedrale di Saint-Michel.
La cattedrale di Saint Michel a Castelnaudary
Dopo una visita alla cattedrale ci fermiamo
a mangiare in un locale dove abbiamo
inaspettatamente incontrato la famiglia
di tedeschi con cui, giorni fa, abbiamo
percorso alcune chiuse.
Devo spiegare.
Qualche giorno addietro ci capito’
di percorrere alcuni tratti in compagnia
di una house boat affittata da tedeschi,
genitori con due figlie adolescenti.
Capita che, essendo la chiuse abbastanza
frequenti e vicine, quando la barca
esce da queste ci lascia indietro di
qualche decina di metri fino alla chiusa
seguente dove, perdendo un po’
di tempo fra attesa e manovre di attracco,
riusciamo a rangiungerla. E questo succede
per un numero imprecisato di volte.
Sta di fatto che si instaura un rapporto
di buon vicinato di viaggio fra il capofamiglia
e i due stravolti italiani.
Inoltre, mentre all’inizio le
ragazzine sembravano infastidite e per
nulla incuriosite da questi due sfigati
che hanno deciso di passare le vacanze
in un modo cosi’ trucido, pian
piano (forse impietosite dalla fatica
che esprimiamo inconsciamente da tutti
i pori) ci salutano e sorridono ogni
volta che riusciamo a raggiungere la
barca.
Bene, giungiamo a Castelnaudary dopo
averli seminati il giorno prima potendo
trasbordare alcune chiuse giunte all’orario
di chiusura, e…chi ti troviamo
in paese al nostro stesso bar? Loro!
Felici e contenti di vederci. Scambiamo
un paio di grugniti di contentezza per
l’incontro e salutiamo alzandoci
per finire il giro turistico del paese.
Come se non bastasse, tornando al porto
canale, costeggiamo la banchina ed incappiamo
ancora nella teutonica famigliola, intenta
a riposarsi in coperta. Salutandoci
ancora apprendiamo che sono giunti al
punto di dover tornare indietro. Vacanze
finite.
Noi invece riprendiamo la navigazione
cominciando un percorso ad ostacoli,
dove ogni chiusa ci obblighera’
a faticosi trasbordi.
Facciamo una sosta al Col de Naurouze,
il punto in cui Riquet, il creatore
di questa opera fluviale, ha scoperto
essere l’ideale per dare forma
al Canale, per fornirgli piu’
che altro la quantita’ d’acqua
necessaria.
Ci troviamo nel punto piu’ alto
di tutto il percorso del Canal du Midi
(189 metri s.l.m.), il punto di origine
da cui fluisce l’acqua nelle due
direzioni: l’Oceano a ovest attraversando
la chiusa de l’Ocean ed il Mar
Mediterraneo ad est attraverso la chiusa
de la Mediterranee.
La quantita’ d’acqua necessaria
viene dal bacino di Saint Ferreol, realizzato
come vaso regolatore delle acque del
canale.
Riquet realizzo’ un canaletto
per portare le acque nel Canale, facendogli
fare uno scenografico percorso circolare
intorno ad un parco diviso in due da
una strada pedonale fiancheggiata da
due filari di platani piantati nel 1809.
Il viale alberato a Naurouze
Poco distante si trova l’obelisco
intitolato al realizzatore dell’opera,
ubicato su un rilievo da cui la vista
spazia sulle campagne intorno.
La stele dedicata a Riquet
Terminato il nostro giro turistico
a piedi, riprendiamo il kayak per raggiungere
Port Lauragais, una imponente struttura
con bar, ristorante, albergo ed esposizione
permanente sulla storia del Canal du
Midi (ormai chiusa), dove decidiamo
di campeggiare.
Il porto e’ un bacino di forma
rotonda con al centro l’edificio
ristorante e bar su struttura a palafitte,
con una serie di terrazzi sull’acqua
dove poter mangiare, da un lato le banchine
per gli ormeggi a pagamento per le imbarcazioni
e, di fronte alle vetrate del bar alcune
belle sponde erbose su cui piantiamo
le tende.
Campo a Port Lauragais
Sbarchiamo, organizziamo il campo e
ci fiondiamo a cercare una doccia. Dopo
aver girato in lungo ed in largo le
strutture del porto, ci rendiamo conto
che, non solo non esiste una doccia
pubblica, ma che dobbiamo accontentarci
dei lavandini dei servizi igienici per
sciacquarci un minimo.
Ci accorgiamo poi che il posto e’
raggiungibile direttamente dall’autostrada,
che i servizi che stiamo utilizzando
altro non sono che quelli di una piazzola
autostradale, con relativo via vai di
automobili, famigliole e brutti ceffi.
Ci viene un brutto presentimento a dormire
in tenda nelle vicinanze!
Pronti per cenare, ci viene la brillante
idea di non utilizzare la bella struttura,
architettonicamente invitante , che
abbiamo di fronte, ma di andare a cercare
qualcosa di piu’ caratteristico
nel vicino paese di Avignonet Lauragais,
per niente scoraggiati dalle precedenti
esperienze di ricerca di ristoranti
nei piccoli paesi della campagna francese.
Anche questa volta prendiamo una stradina
asfaltata che ci conduce fra campi di
stoppie e girasoli.
Cosi’, con una splendida luna
che ci accompagna (eh si! Oltretutto
si e’ fatto anche un po’
tardi), ci facciamo i nostri due o tre
chilometri a piedi per giungere nel
solito bellissimo paesino disabitato,
delicatamente arroccato su un rilievo,
con una ben illuminata chiesa, un’imponente
torre campanaria, ma naturalmente privo
di qualsivoglia bar, trattoria o ristorante.
Ci vediamo costretti quindi a tornare
al porto per rifugiarci nel freddo ristorante,
in quanto la tavola calda che avremmo
preferito e’ ormai chiusa.
Solo al momento di ordinare ci rendiamo
conto dell’ora tarda e del fatto
che stiamo per essere gli ultimi clienti,
per cui ci vediamo costretti, quasi,
dagli inservienti pronti ad iniziare
la pulizia serale dei locali, ad ordinare,
mangiare ed andarcene a dormire.