6 Agosto - 21 km. - 1 chiusa.
Ci apprestiamo a fare colazione quando
ci raggiunge un ragazzo che ci si rivolge
in inglese chiedendoci se siamo i proprietari
di un kayak.
Immediatamente ci ricordiamo del kayak
lasciato ormeggiato tutta la notte, lo
raggiungiamo e ci accorgiamo che…non
c’e’ piu’.
Il nostro inglese, che poi veniamo a sapere
che risiede in un bel barcone, ci dice
che l’ha recuperato il mattino presto
spiegandoci che si tratta di alcuni ragazzini
del luogo che si divertono, nottetempo,
a slegare le imbarcazioni ormeggiate sul
canale, e che prima o poi riuscira’
a coglierli in castagna.
Passato lo spavento e vedendo che il kayak
non ha subito danni, ringraziamo l’amico
inglese che ci dice di essere stati molto
fortunati a trovarci in un’ansa
del canale, altrimenti chissa’ dove
sarebbe potuto finire.
Mentre finalmente ci godiamo una spartana
colazione, osserviamo il risveglio delle
signore sulle house-boats, incaricate
da consuetudini ancestrali di preparare
la colazione per la famiglia o gli amici.
Si portano in coperta, tutte scarmigliate
ed assonnate, guardandosi attorno come
per capire dove siano giunte dopo la precedente
giornata di lenta navigazione ma soprattutto
dopo una probabile nottata passata in
scomode cuccette.
Si riparte affrontando il rettilineo che
porta a Port la Robine che si presenta
con una brutta e rumorosa fabbrica sulla
destra e la congiunzione con il Canal
de la Robine sulla sinistra che porta
a Narbonne, in direzione del mare.
Appena passato il porto sulla destra ed
il ponte canale sul fiume la Cesse ci
fermiamo a quello che ci appare come un
miraggio: una casetta adibita a bar e
rivendita di prodotti tipici regionali
con servizio igienico e doccia.
Ne approfittiamo subito e cominciando
ad ordinare caffe’ in tazza grande,
succo di arancia in bottiglia (sembra
impossibile trovare un bar che possa preparare
una spremuta naturale) e una bomba di
pane al miele con uvette, noci e nocciole.
Intanto ci alterniamo alla doccia.
Non esistono orari per fare la doccia.
Certo preferirei farla alla sera quando
si pianta il campo ma purtroppo non ci
siamo organizzati con un camper dotato
di wc che ci segue costantemente, per
cui ogni occasione e’ buona per
togliersi di dosso sudore e fatica.
La giornata si preannunciava con un bel
vento che faceva cadere le foglie in acqua,
quasi un preludio autunnale, poi invece
si e’ rivelata piuttosto afosa e,
seduti ad un tavolino con ombrellone,
indugiamo comodi e rilassati osservando
il via vai di barche con turisti stravaccati
in coperta che sorseggiano bibite e birre.
Certamente un bel viaggiare, la cui sola
idea ci fa scattare in piedi pronti per
affrontare un’altra giornata sudatoria
ma piena di soddisfazione.
Attraversiamo, poco dopo, il piccolo paese
di Somail caratterizzato da alcuni begli
edifici tutt’intorno al ponte stradale
che passa il canale.
Il ponte di le Somail
Appena dopo il ponte, il paesino esplode
in tutta la sua francesita’ con
parecchie barche, dai colori piu’
disparati, ormeggiate sulle sponde ed
un paio di ristorantini e bar con tavolini
disposti sotto gli alberi, in posizione
ideale per godersi la frescura delle
fronde ed il lento passaggio di strani
personaggi sudaticci in kayak.
Peccato aver appena fatto colazione
perche’ sarebbe valsa la pena
fermarsi un po’ a riflettere davanti
ad un paio di panache’ “formidables”.
A Ventenac-en-Minervois, un gran castello
sulla destra con una bella cantina di
vini ci attrarrebbe moltissimo se solo
avessimo un po’ piu’ di
spazio in kayak per caricare qualche
bottiglia.
Riprendendo a pagaiare ci tiriamo su
il morale ripromettendoci di rifare
questo tour sul canale…in macchina,
possibilmente con una capiente station
wagon per assaggiare, degustare ed eventualmente
acquistare qualche prodotto di recenti
o tardive spremiture.
Superiamo il primo ponte canale costruito
in Francia, sul fiume Repudre, per poi
fermarci a Paraza, un altro microscopico
centro agricolo sul canale.
Passaggio sul ponte canale su le Repudre
Riusciamo a tirare la canoa in secco,
con una fatica pazzesca, su uno scivolo
per imbarcazioni, solo dopo avere offerto
l’ultimo tozzo di pane rimastoci
a due enormi oche da combattimento.
Devo dire che solo grazie alla prontezza
di riflessi di Massimo nel lancio del
pane abbiamo sventato l’attacco
di queste due “bestie” alte
un metro e venti centimetri e dal corpo
tonico da mastini napoletani. Sarebbe
stata una lotta impari contro due poveri
canoisti sudati, stremati ed affamati.
Massimo tiene a bada le oche a Paraza
In effetti mi sono poi reso conto che
con il nostro kayak di cinque metri e
passa abbiamo occupato tutto lo scivolo
in ghiaia dove loro stavano tranquillamente
becchettando.
Ci riteniamo fortunati quando, poco distante
intravediamo una presa d’acqua molto
utile per darsi una sciacquata prima di
trovare un posto dove mangiare. Ci avviciniamo
e ci rendiamo conto che si tratta di un
servizio a pagamento per i fruitori del
canale, peccato che sia oltretutto fuori
servizio.
Per cui, riposti gli asciugamani, ci incamminiamo
in un paese fantasma, dato che si tratta
dell’ora di pranzo avanzata, per
incocciare in un vespasiano piuttosto
malmesso, ma fruibile, ed in un rubinetto
funzionante…non a pagamento.
Continuiamo a setacciare il paese strada
per strada, la posta, il Municipio, alcune
cooperative agricole, la bocciofila e,
finalmente, giunti alla periferia del
paese, in mezzo a villette in cantiere,
villette finite con piscina (acqua invitante,
cristallina e fresca, nessuno in vista,
quasi quasi un tuffo,…meglio di
no) scopriamo l’unico ristorante,
o meglio, trattoria in una delle villette
ancora in costruzione.
Il luogo e’ stato scoperto anche
da alcuni ciclisti e ci ritroviamo subito
distribuiti ad alcuni tavolini sotto l’ombra
di un bel noce nel giardino della villetta.
Due belle birre giganti ci vengono portate
dalla ristoratrice piu’ malmessa
vista finora, che pero’ non manca
di accoglierci con un gran sorriso per
mettere subito in mostra un incisivo cresciuto
di traverso nella faccia.
Ragionando sulla stranezza della particolarita’
anatomica siamo giunti alla conclusione
che potrebbe anche essere stata opera
del probabile marito, il cuoco, che ogni
tanto fa capolino dalla cucina mostrandosi
come il fratello piu’ brutto dell’acerrimo
nemico di Braccio di Ferro.
Ripresoci dalla conoscenza dei nostri
osti e ormai in preda a rumori di stomaci
vuoti che si contorcono, cominciamo ad
ordinare un buon pranzetto riempitivo.
Tornati al kayak ci abbiocchiamo qualche
minuto all’ombra degli alberi sul
lungofiume.
Mentre attendiamo di passare la prima
chiusa della giornata, mi accorgo che
c’e’ qualcosa che non va sulla
linea d’acqua alla sinistra del
kayak. Osservo meglio e, con orrore, scopro
una scucitura di circa 70/80 centimetri
lungo la parte mediana del lato sinistro.
Per spiegarsi meglio, il kayak Klepper
ha una “pelle” di cotone e
tessuto gommato cuciti insieme e tenuti
in tensione sullo scheletro in legno da
due tubolari interni gonfiabili. Le cuciture
sono poi trattate in modo che non filtri
acqua, pero’…non sono trattate
contro l’usura del tempo, e credo
che il nostro kayak di tempo ne abbia
passato gia’ parecchio.
In pratica filtra un po’ d’acqua,
ma il peggio e’ che il gonfiabile
laterale sinistro, che serve a tendere
la “pelle del kayak, si trova quasi
tutto all’esterno, con il relativo
pericolo di raschiare sulle rive e sulle
banchine delle chiuse.
Con poca cautela, ormai il danno e’
fatto, ci dirigiamo al primo punto utile
per piantare il campo, anche se l’ora
ci permetterebbe di continuare ancora
un po’, il porto di Argens-Minervois.
Qui scarichiamo tutto dal kayak, lo smontiamo
a meta’ ed inizio a ricucire la
parte che si e’ aperta.
L'intervento sul kayak smontato ad Argens Minervois
Apro una parentesi sulla precedente esperienza
di ricucitura del kayak in questione.
Quando lo abbiamo comprato, di seconda
mano, ed abbiamo deciso di intraprendere
questo viaggetto, abbiamo cominciato a
dotarlo di alcuni anelli e fascette sulla
coperta in cotone per attaccare ragni
elastici, pagaie di scorta ed altro bagaglio.
Cucire una tela di cotone spessa e decisamente
datata, con un grosso ago da cucito, si
e’ rivelata un’esperienza
piuttosto difficile. Oltretutto mi ci
sono voluti molti giorni di lavoro per
capire quanto fosse utile una piccola
pinza per catturare l’ago, spingerlo
e tirarlo attraverso la dura “pelle”
del kayak. Mi e’ venuta l’idea
della pinza una sera davanti allo specchio
mentre mi lavavo i denti. Mi sono risciacquato
la bocca e mi sono fatto un gran sorriso
per darmi del bravo lupo di…meglio,
del bravo stupidotto quando mi sono accorto
delle due fessure che l’ago aveva
creato sui due incisivi durante le ore
trascorse a tirarlo fuori dalla tela con
i denti.
Guardando meglio, le due fessure sono
ancora il meno, quello che mi ha preoccupato
di piu’ sono le due crepe che da
queste si lanciavano verso le radici dei
denti, quasi a spaccarli in due (rischio
peraltro allontanato dalle osservazioni
piuttosto ottimistiche del dentista).
Quindi, la pinza. Ho dimenticato la pinza!
Non ho certo voglia di ricominciare a
demolirmi gli incisivi per cui chiedo
a Massimo, sempre attrezzatissimo, se
per caso non ha portato anche una piccola
pinza.
“Certo che ce l’ho!”
ed apre il coltellino svizzero milleusi
sfoderando una bellissima micropinza da
chirurgo vascolare con la quale stento
a tenere in mano l’ago.
Rinnovo le congratulazioni per il completo
armamentario gentilmente prestatomi ma
gli chiedo di vedere se in porto esiste
un meccanico dotato di piccola pinza (come
si dira’ poi in francese?).
Mentre faccio mentalmente il conto del
tempo che perdero’ a ricucire l’armamentario
galleggiante (poi sara’ un totale
di circa quattro ore, due prima di cena
e due dopo cena al lume di candela e torcia
elettrica, con un ago rotto ed un pollice
bucato) Massimo torna esultante con la
pinza delle giuste dimensioni per iniziare
il lavoro.
Durante le prime due ore di lavoro, Massimo
si occupa di piantare il campo all’ombra
di due enormi alberi e fa un giro in cerca
della riserva d’acqua.
Il campo ad Argens Minervois
All’ora di cena ci serviamo dei
comodi servizi del porto e facciamo una
scappata nel centro del paese, che vediamo
poche centinaia di metri oltre il porto,
per trovare un posto dove mangiare.
Come spesso ci e’ capitato, il paese
non offre nulla di aperto, pur avendo
un piccolo centro storico molto interessante,
abbarbicato con stradine tortuose su un
colle con un bell’edificio religioso
fortificato in forte abbandono.
Scendiamo a costeggiare il canale e troviamo
finalmente un posto con quattro tavolini,
un baracchino con la cucina nel retro
e due improvvisate ostesse che si fanno
anch’esse in quattro per servire
il piccolo ristorante tutto esaurito.
Certo, tutto esaurito e’ una parola
un po’ grossa per pochi tavolini,
pero’ e’ interessante il risultato
di questo affollamento che sta nel poter
osservare, nelle lunghe pause tra un piatto
e l’altro, la differente fauna del
luogo.
Famiglie ben vestite, che meglio si adatterebbero
ad un locale piu’ elegante con luci
soffuse e sommelier, famiglie in canottiera
e ciabatte, che sembra si siano dovute
adattare al ristorantino dopo aver perso
il loro completo da pic-nic, niente ragazze
da osservare e, naturalmente in Francia,…musica
cubana!
A ben osservare, il Canal du Midi, forse
per la lentezza del suo scorrere, per
la dolcezza dei paesaggi collinari, per
la malinconica presenza di potenti architetture
religiose una volta dominanti, poche sono
le compagnie giovanili. Sembra un posto
fatto per coppie stagionate, famiglie
con annoiati figli di un’eta’
ancora non pronta ad iniziare vacanze
di scoperta e di liberta’, vecchi
lupi di canale solitari o in coppia con
altrettante rudi vecchie signore (questi
ultimi spesso su quegli splendidi barconi/chiatta
modello olandese).
Tornati al campo per la notte riflettiamo
sui motivi del problema successo al kayak
per giungere ad elencare una serie di
concause quali l’eta’ avanzata
(ma non sappiamo di quanto) del materiale,
quindi delle cuciture, i potenti strattoni
a cui sottoponiamo giornalmente, e piu’
volte al giorno, il kayak per sollevarlo
con tutto il carico sulle rive del canale,
l’over inflating del gonfiabile
laterale lasciato al sole cocente per
qualche ora.
Esausti per il cucito e per la musica
cubana, ci addormentiamo.